Il Literatur-TANDEM-letterario 2024 è una borsa di studio per giovani scrittori provenienti da Italia e Germania. Gli autori hanno presentano un racconto (short story) nella propria lingua. Nell’ambito di un tandem tedesco/italiano hanno quindi tradotto il racconto del partner di lingua straniera nella propria lingua.
Uno dei sei tandem del 2024 è Giulio Nardo con la sua storia PRECARIETÀ DEL CIELO E DELLA TERRA e Philipp Cyprian con il suo racconto Magnesium. Nel suo commento alla traduzione del testo Magnesium Giulio Nardò scrive:
Essere a un tempo tradotto e traduttore impone all’autore una serie di stratagemmi onde stornare dall’opera di traduzione quell’impulso tutto autoriale di seminare il marchio del proprio stile sul tessuto che via via si va tessendo; se non stornare, perlomeno attutire. …
Giulio Nardo
Il confronto con Philipp è stato un fecondo studio tecnico (possiamo definirlo così?) dell’utilizzo linguistico e delle sue possibilità. Ci siamo scambiati, in questi mesi, le nostre bozze di lavoro, alcune perplessità, le nostre registrazioni di lettura dei rispettivi racconti affinché l’uno dell’altro potesse cogliere anzi sentire il giusto ritmo e (come da lui detto in una delle prime mail) l’atmosfera acustica delle nostre pagine; questo scambio ci ha permesso d’interrogarci sulle modalità di resa dei nostri testi e del loro passaggio da un codice linguistico all’altro. …
Ecco il commento completo di Giulio Nardo:
Essere a un tempo tradotto e traduttore impone all’autore una serie di stratagemmi onde stornare dall’opera di traduzione quell’impulso tutto autoriale di seminare il marchio del proprio stile sul tessuto che via via si va tessendo; se non stornare, perlomeno attutire.
Giulio Nardo
Ne è risultato uno scambio estremamente proficuo, poiché non solo ha permesso di affrontare una lingua altra e con altre regole, ma d’impuntarsi inoltre nelle difficoltà dei processi di traduzione, operazioni sotterranee e poco evidenti, eppure sempre complesse e stupendamente traditrici, necessarie, in quanto costringono il traduttore a un intervento nel pezzo di origine con mano insieme rigorosa e liberata, dedito insomma a una scienza della ri-creazione, oscillando ostinato nel matassino imbrogliatissimo dell’“essere aderente all’originale, o tradirlo?”, anzi insbrogliabile; ma soprattutto sospinge a ritornare sul proprio testo, sulla propria lingua, su quel codice che l’autore dava per scontato per via dell’uso quotidiano, e così ritornandoci lo trova nuovo e si accorge, per la prima volta, di alcuni meccanismi del suo idioma, del suo stile, delle sue regole, i cui problemi e le cui ricchezze sono finora rimasti seppelliti dalla sorda abitudine.
Il confronto con Philipp è stato un fecondo studio tecnico (possiamo definirlo così?) dell’utilizzo linguistico e delle sue possibilità. Ci siamo scambiati, in questi mesi, le nostre bozze di lavoro, alcune perplessità, le nostre registrazioni di lettura dei rispettivi racconti affinché l’uno dell’altro potesse cogliere anzi sentire il giusto ritmo e (come da lui detto in una delle prime mail) l’atmosfera acustica delle nostre pagine; questo scambio ci ha permesso d’interrogarci sulle modalità di resa dei nostri testi e del loro passaggio da un codice linguistico all’altro. Fondamentale, ovviamente, è stata la dichiarazione delle nostre letture, poiché i libri letti per forza imprimono una certa intenzione al testo che si scrive. Il confronto è risultato ancóra più ricco, poi, dall’accostamento delle nostre scritture, agli antipodi quasi: se da parte mia avevo proposto la consueta tracimante polifonia di una partitura atta a descrivere una vita realistica e quotidiana, Philipp mi ha permesso di tradurre una struttura dal lessico temperato e collocato nella frase con una esattezza al millimetro per condurre, col suo registro più essenziale e più inquietante, ad una situazione surreale, conturbante, pertanto da un simile abbinamento è derivato un ulteriore banco di prova, un motivo di sperimentazione e soprattutto di approfondimento di tutti quegli spazi che altrimenti un autore, se sciolto dalla dialettica con altri autori, rischierebbe di non vedere, di non conoscere, non rimuovendosi quindi dalla ripetizione della forma, di quel suo unico spazio entro cui ha stabilito (un po’ aridamente) di muoversi.