Il Literatur-TANDEM-letterario 2024 è una borsa di studio per giovani scrittori provenienti da Italia e Germania. Gli autori hanno presentano un racconto (short story) nella propria lingua. Nell’ambito di un tandem tedesco/italiano hanno quindi tradotto il racconto del partner di lingua straniera nella propria lingua.
Uno dei sei tandem del 2024 è Filippo Ferraresi con la sua narrazione I veggenti – Ci deve pur essere e Tim Fey con la sua narrazione Photomaton. Nel suo commento alla traduzione del testo Photomaton Filippo Ferraresi ha scritto:
Il testo di Tim mi ha rivelato un sacco di felici sorprese, frasi che volteggiano in modi che non mi aspettavo, soluzioni visive che si mescolano a parole.
Filippo Ferraresi
Ecco il commento completo di Filippo Ferrarresi:
In un racconto fenomenale, uno scrittore capace di dare abbracci anche una volta morto mise il diavolo sul fondo di un pozzo. Dal pozzo provenivano grida mostruose, ma anche la voce di un bambino che chiamava aiuto. Nessuno di quelli che si avvicinarono, però, aveva il coraggio di scendere a controllare. La storia prosegue in un modo che mette i brividi, ma è questa l’immagine che mi è apparsa quando lavorato con Tim al suo racconto. Un pozzo buio, dove il diavolo e il bambino a tratti sono indistinguibili.
Filippo Ferraresi
Se mi metto ad ascoltare le storie di traduttori che ho in testa sento il silenzio. Traduttori vivi, traduttori geniali, traduttori trascendentali, traduttori magici, traduttori mediocri, traduttori che credono che tradurre e sbrigare le faccende di casa siano modi per tenere lontana la morte. Traduttori e traduttrici incastrati nelle parole. Traduttori e traduttrici che contano ogni soffio d’aria tra le parole di Virginia Woolf, ogni gorgoglio d’acqua, e alla fine sorridono e si tagliano i capelli corti. Traduttrici che lavorano sotto dettatura delle muse altrui o della paura altrui come se fosse loro. Ecco, nel breve tempo ma importante in cui io e Tim siamo stati difronte al mio e al suo racconto, mi sono sentito uno di quei traduttori, o a fianco di uno di quei traduttori, che sentono le correnti provenire dal buio e alitare sulle ciglia, nel naso e negli occhi umidi, che sentono il canto o il ruggito del lupo caduto e ferito, la risata del mostro, il pianto del bambino. Scendiamo sempre per recuperare noi stessi, ho pensato. Nel racconto di un altro, c’è tutta la speranza che qualcuno prima o poi ci tratti con la stessa cura, cerchi la parola perfetta, si riempia di fiducia e porti fuori noi e il mostro senza sfigurarlo né tradirlo né averne eccessiva paura.
Il testo di Tim mi ha rivelato un sacco di felici sorprese, frasi che volteggiano in modi che non mi aspettavo, soluzioni visive che si mescolano a parole. E mi ha lasciato molte domande su quello spazio che ci divide, sui temi che ci separano, su come la frase più semplice sia quella che mostra più distanza culturale e non una metafora ardita o un modo di sognare o amare. Ma c’è stata anche luce nel condividere il cielo, i bordi della camera da letto, i confini di una lingua, nel condividere la storia di un vecchio amore o della sua possibilità. E nonostante il buio, alcune frasi mi sembrano brillare come se fossero riuscite arrivare di là, fuori dal pozzo. Non resta che credere, come diceva Angelo Morino a un’altra traduttrice, che le faccende di casa e la traduzione tengano lontana la morte, o che almeno è così bello stare sul bordo del pozzo, qui tutta la letteratura ci respira addosso.