Cosa vuoi fare da grande?, si chiedeva una volta ai ragazzini. L’esploratore, l’astronauta, salverò le tigri , non lo so, però so che voglio viaggiare e imparare a parlare tante lingue straniere.
Si può capire molto presto, se si è predisposti ad essere curiosi del mondo, se si intuisce fin da giovane che il proprio cuore e la propria mente mai saranno definiti o limitati da un confine nazionale, da una sola lingua, da una sola identità culturale nazionale.
Poi c’è sempre l’ambiente familiare e l’educazione, che aggiunge qualcosa, e poi magari gli insegnanti, i nostri amici, i libri che si sceglie di leggere, le grandi idee che ci fanno sognare, gli esempi umani che ci commuovono e quelli che invece ci disgustano.
Tutte queste cose, e molte altre, fanno di noi personalità strutturate, cittadini buoni e onesti, genitori responsabili ed educatori o professionisti consapevoli, per farla breve, esseri sociali e non egoisti.
Mi è capitato nella vita di nascere insegnante (non vedevo l’ora di crescere, per esserlo davvero) ; dopo più di trent’anni di carriera, spesso penso che vorrei rubare a Forrest Gump la famosa frase che concludeva la sua maratona su e giù per l’America, e cioè “Veramente…..sono un po’ stanchino, ora”.
l mestiere di insegnare lo si affina col tempo, e le giovani generazioni che incontri lungo la corsa cambiano molto più velocemente e radicalmente, ora, rispetto a quelle di cinque-dieci anni fa. Dobbiamo adeguarci in fretta ai tempi anche noi insegnanti, per correre una maratona che sia dignitosa e onorevole per tutti, non solo per i vincitori. Quando talvolta mi arrabbio con i miei alunni, cerco subito di calmarmi tenendo presente questo pensiero, che i miei genitori hanno dovuto purtroppo sperimentare la seconda guerra, mentre a me questo è stato risparmiato. Pertanto , ce la posso fare anch’io!
Provengo dall’Italia del Sud. La mia città, Reggio Calabria, si trova sulla punta dello Stivale, di fronte alla Sicilia, e soltanto tre chilometri di Stretto di Messina ci separano dall’isola
Mio padre (anno 1936) ha studiato Legge proprio nella vicina città di Messina, e non per una sua particolare passione, ma solo perché l’ università siciliana di Messina , oltre lo Stretto, era la più vicina alla nostra città di origine, Reggio Calabria e rappresentava l’unica chance per poter studiare. Mandare mio padre lontano, in migliori università a Roma, a Bologna, a Milano, sarebbe stato impossibile, per le condizioni economiche della sua famiglia. Mia madre (anno 1931) aveva sei fratelli e un padre “illuminato”che lavorava in Ferrovia : per mancanza di mezzi, non ha fatto l’Università, solo le scuole superiori, ma ciò era abbastanza progressista, per la Calabria degli anni Cinquanta. Io sono del 1960 e invece ho potuto studiare Lingue Straniere a Napoli. Ciò ha comportato per la mia famiglia senz’altro spese e sacrifici, ma l’università a Napoli, 500 chilometri verso nord, godeva di un certo prestigio e mio padre (come già mio nonno, con mia madre) voleva per me tutto il meglio possibile.
La prima volta che sono stata all’estero è stato nel 1979. Ho trascorso tre mesi interi a perfezionare il tedesco presso il Goethe Institut di Rothenburg ob der Tauber, un meraviglioso paesino in Baviera. Nella mia classe di studio eravamo tutti di nazionalità diverse, e non solo europee, americani, ebrei, arabi, africani di varie nazioni, cinesi, giapponesi, e perfino nord e sud coreani…. ; di religioni diverse, cattolici, protestanti, ebrei, musulmani e anche buddhisti. Prima di quel corso di tedesco, mi sentivo già pronta, o educata in qualche modo (ero una hippy!), a questo melting-pot, ma mille volte mi sono chiesta se sarei mai stata la stessa persona di oggi, se non lo avessi visto con i miei occhi, e vissuto in prima persona.
La Germania e la lingua tedesca, cosi amata e difficile, hanno rappresentato per me la prima possibilità concreta di conoscere persone da diversi paesi europei ed extra-europei. La Germania, con i primi Bratwurst e Pommes Frites, il primo Apfelstrudel, e i tedeschi veri. Tutto ciò che incarnava il mito tedesco, l’ordine e la puntualità, la grande pulizia per le strade, stava di fronte a me. Ma – contemporaneamente- anche lo sfatarsi dei classici cliché fatti solo di rigidità prussiana, ottusa disciplina e freddezza. Ovunque noi studenti stranieri andassimo eravamo accolti con sorrisi e gentilezza.
A quell’epoca ero molto ribelle e idealista, e non ero affatto fiera di sentirmi italiana. Lo devo ammettere, avevo come un rifiuto del mio paese di origine, per le solite cose che ci affliggono ancora oggi come italiani, e calabresi : la criminalità e la mentalità mafiosa, la mancanza di regole civili, la corruzione italiana, la disorganizzazione, l’estremo individualismo, il fatto che parlassimo sempre a voce tanto alta per strada. Eppure, è proprio durante quella prima esperienza all’estero, perfino attraverso gli occhi dei miei amici stranieri e degli stessi Tedeschi, che affiorarono in me anche altri valori legati all’Italia e che prima non mi sembravano affatto importanti. Tutti amavano la mia terra, la mia lingua, la storia e la nostra grandiosa tradizione storico-artistica, perfino il clima, il sole, il mare, le coste, il cibo, la moda, la mentalità (“Voi italiani sapete come si sta al mondo!)”. Beh, di certo non ho creduto (né lo credo oggi) che noi Italiani viviamo una perenne Dolce Vita felliniana, ma un pochino diventai anche orgogliosa, di essere italiana. E questa sensazione, stranamente, l’ho vissuta proprio in Germania, mentre scoprivo lati positivi e negativi di quella, e di altre, culture. A sua volta, la Germania mi ha regalato arte, storia, bellissimi paesaggi naturali, e intanto osservavo con attenzione anche i miei amici da tutto il mondo, con cui condividevo tante ore ore di studio e di compagnia allegra.
In lunghe discussioni nel nostro Tedesco ancora insicuro, mi colpiva la profondità spirituale dei miei coetanei orientali ; o la sincera fede degli studenti musulmani che scandivano il giorno con le preghiere. Ho assaggiato cibo greco, o turco, o cinese, in giro nei ristoranti stranieri dove a turno andavamo a mangiare con i compagni di studio, affinché la nostalgia di casa – a turno - fosse meno dura.
Per me è stata la Germania, per forza di cose, non solo la prima grande porta aperta sull’Europa, ma anche una diretta opportunità per constatare, nei molti viaggi e anni a venire, come la globalizzazione ci cambiava tutti, e sempre più velocemente.
Quando per la prima volta crollarono i confini politici ad est, mi trovavo ad Amburgo, e in quel seminario all’Università la maggior parte dei partecipanti erano studenti o docenti di tedesco provenienti da paesi dell’Est, soprattutto Ungheria, Polonia, Russia. Ricordo di come fossero stranamente felici e infelici al contempo, eccitati ma anche molto spaventati da quell’epocale salto verso l’ignoto. Non erano ricchi, non conoscevano molte cose per noi normali, del mondo capitalista, ma ricordo quanto fossero bravi, preparatissimi e rigorosi, un grado di istruzione che definirei eccezionale, rispetto agli standard capitalisti che avevo visto nel resto dell’Europa.
Ad Amburgo è iniziata una amicizia speciale con una coppia di ungheresi, Aliz e Csaba. Ci siamo incontrati poi in Calabria e sono andata a trovarli a Budapest, abbiamo contatti regolari, loro sanno che i calabresi non sono solo mafiosi e io ho vissuto, tramite i loro racconti negli anni, quanto il passaggio da un regime politico-economico all’altro sia stato difficile e duro. Se penso alla Budapest del 1990, e a come è diventata oggi, so anche che senza Aliz e Csaba e al puro caso che ci ha fatto conoscere, certe cose non le avrei mai potute vedere, vivere in prima persona, e per questo, anche, capire.
Da allora l’ Europa è diventata più grande e più libera. E a prescindere dagli ancora imperfetti progressi politici ed economici sulla via di una teoretica Unione Europea del futuro, essa rappresenta più che mai, oggi, una prospettiva allettante e unica per i giovani. E’ un’opportunità sempre più concreta e reale di viaggiare, lavorare e ampliare i propri orizzonti di studio, culturali e umani oltre i confini nazionali. Ma il “Vai e vedi”, “Vai e conosci” diventa perfetto, però, solo se ogni aspetto pratico e utilitaristico viene accompagnato da una ispirazione o una spinta ideale. Il progetto Europa deve poggiare su basi sempre più condivise e partecipate, affinché queste siano stabili e soprattutto solide e durature
E nuove sfide sopraggiungono, che non saranno facili da gestire. Certo questa Europa in cui ci troviamo a vivere è molto più crudele e impaurita, per le implicazioni mondiali del post 11 settembre, le ferite degli attacchi terroristici al cuore dell’Europa, i disastri politici in aree instabili che generano masse di disperati che fuggono e sperano che la vecchia Europa sia in grado di accoglierli, proteggerli, e offrire loro una chance di vita e dignità. E i populismi (che non sono né di destra né di sinistra, ricordiamolo, se non che per lievi e insignificanti differenze) cercano di alimentare le paure di una Europa che vuole ridiventare particolaristica, protezionista, e di nuovo più piccola a livello nazione, dopo aver faticosamente costruito neppure le fondamenta della casa comune.
Per poter gestire la questione di una effettiva Unione Europea, la cosa più logica da fare sarebbe evitare gli estremismi. Purtroppo non esiste una soluzione unica possibile, ma di certo non sono di nessuna utilità pratica le frasi infarcite di ottuso e disilluso pessimismo come “Non potremo mai farcela“ , né tanto meno quelle del genere“Che meraviglia, noi Europei siamo tutti uguali e felici“, che tradiscono un trionfale e superficiale ottimismo. Le posizioni dovrebbero essere, viceversa, molto equilibrate. Non c'è dubbio che le nostre società, già oggi, presentino delle forti radici comuni che possono contribuire a legarci. Il fatto é, però, che i nostri sforzi, specie da parte delle giovani generazioni, devono indirizzarsi verso la scoperta di sempre maggiori punti di contatto fra le nostre tradizioni e culture. -
E di nuovo ricorrono quelli elementi cruciali, quali l'educazione familiare, la scuola e gli insegnanti, i libri e i buoni modelli, che tracciano un cerchio virtuoso intorno alle nostre personalità, e che ci insegnano a rispettare il nostro prossimo e i nostri vicini. Il singolo essere umano resta pur sempre il baricentro e la misura di ogni cosa. Attualmente, i diversi sistemi scolastici europei formano culturalmente bambini, adolescenti, studenti : invece le due o tre precedenti generazioni, di certo anche per maggiore ignoranza e passività, hanno sofferto la crudele realtà di ben due guerre mondiali. La libertà che oggi noi sperimentiamo in ogni campo, implica la possibilità di ampliare le nostre conoscenze e di compiere scelte sempre più consapevoli, e di renderci, in sostanza, migliori come esseri umani.
Ad un livello più alto, magari una impersonale Politica europea ci potrà certamente deludere, ma ad un livello più immediato e popolare sono molto diverse, le varie percezioni del mondo che nascono viaggiando in Europa come studenti, lavoratori o semplici turisti. Se gli occhi di chi viaggia sono aperti, disponibili, tolleranti, e soprattutto curiosi, spesso alla fine dell'esperienza si sedimenta l’idea che le nostre differenze sono derivate magari da diversi usi e costumi quotidiani, più che da vere divergenze storico-culturali.
Ammesso anche che le paure verso l’Altro o il Diverso non possano essere completamente debellate, di certo una vera conoscenza, vigile, lucida, non genererà neppure altre nuove e sconsiderate paure, bensì proverà piuttosto a razionalizzarle, sulla via dell'unica soluzione possibile ai conflitti, ovvero la dialettica.
Ciò che ci unisce é un modello di società che ha un certo successo, l'intera cultura occidentale, che abbraccia filosofia, letteratura, arte, cinema e pure un certo modo di pensare occidentale, che si distingue a sua volta nettamente da quello dei paesi asiatici, o africani. Lo si può notare meglio, ironicamente, quando ci troviamo al di fuori del continente Europa, e in fondo, quasi senza accorgercene, finiamo per sentire che é all'Europa, che apparteniamo. Che senso pratico avrebbe, dunque, applicare una lente di estremo ingrandimento sulle differenze che esistono fra gli stati membri dell'Unione? E che dire, allora, delle differenze fra America e Australia, Canada e Inghilterra? E fra lingue nazionali e dialetti, metropoli e piccole città, donne e uomini, grassi e magri, ecc ecc ? La lista dei paradossi potrebbe andare all'infinito…
Naturalmente i nazionalismi non hanno nulla a che fare con il sano orgoglio di sentirsi Italiano o Tedesco, eppure coveranno ancora a lungo sotto la cenere. In alcune nazioni dove si è votato recentemente, i loro leader più popolari sono stati fortunatamente sconfitti, contrariamente ai sondaggi giornalistici che invece li davano per vincenti. La fortuna maggiore, però, a prescindere dai politici buoni o cattivi, è che le nostre rappresentanze politiche, ormai dappertutto in Europa, escono fuori da elezioni democratiche. Le generazioni più anziane non dimenticano, ma le più giovani sembrano dare normalmente per scontata la democrazia, perfino nel nostro vicinato ex comunista. E la storia non sembra essere neppure nei primi posti della lista dei desideri dei giovani…..Ma è propriamente cosi, che per loro sia quasi ovvio vivere in democrazia e non gliene importi della storia? Eppure dobbiamo supporre -ragionevolmente- che anche grazie al loro giovane voto sia stato possibile bloccare partiti anti-europeisti e potenzialmente xenofobi.
Roma non fu costruita in un giorno, e neppure l'Europa avrà diverso destino, considerate poi tutte le sfide che ci attendono. Lo slogan ufficiale “Unità nella molteplicità “ potrebbe farci ricordare, secondo un senso più comune, il classico bicchiere che alcuni percepiscono mezzo pieno, e altri, mezzo vuoto. Euroscetticismo e populismi, e le condizioni economiche più o meno favorevoli che i diversi stati europei presentano, renderanno le cose ancora più difficili. Ci vorranno tanti sforzi individuali e istituzionali, nel porre obiettivi comuni che le diverse società europee possano avvertire come prioritari e vitali per il benessere umano, sociale ed economico dei loro cittadini.
Nell'evitare altri conflitti mondiali e stermini razziali siamo stati più bravi, ma altri sforzi importanti sono falliti, come nel caso di una mancata Costituzione Europea. Forse non avremo ancora del tutto chiaramente in mente cosa potremmo o vorremmo diventare ( fra 50 o 100 anni, chi lo sa), ma la Carta Europea dei Diritti Umani ci guida già ora sulla strada di ciò che non potremo fare a meno di diventare.
Autor: Irene del Pozzo